Esercizi fondamentali

25 Aprile 2024 / Palestra
Esercizi fondamentali

Quali sono gli esercizi fondamentali?

Classificazione

La più importante classificazione usata per gli esercizi di resistance training con i pesi (sovraccarichi) è in base al numero di articolazioni coinvolte:

  • Multiarticolari: più articolazioni;
  • Monoarticolari: una sola articolazione.

Anche se, a dirla tutta, è talvolta difficile stabilire quanto le articolazioni possano essere esluse, anche solo in termini di “stabilizzazione”.

Più difficile e meno netta invece, è la classificazione in base all’utilià nello sviluppo di forza e ipertrofia o massa muscolare (sezione trasversa). Ciò ne dovrebbe, di conseguenza, stabilire una certa “priorità” nella stesura del protocollo di allenamento.

Tale distinzione prevede una “più o meno netta” – poi spiegheremo perché – separazione tra:

  • Esercizi fondamentali (multiarticolari pesanti con schemi motori di base, “prevalentemente” con bilanciere, e più indicati per lo sviluppo di forza pura): squat con bilanciere, deadhlift (stacco da terra), distensioni in panca piana con bilanciere (barbell bench rpess), trazioni alla sbarra con o senza sovraccarico;
    • Varianti degli esercizi fondamentali: stacco e squat in stile sumo, squat/affondo bulgaro, front-squat, stacco e squat frammentati, tutte le bench-press con manubri, trazioni frammentate nel movimento, applicazione di carico variabile (con elastici o catene) ecc.;
  • Esercizi complementari (multiarticolari, con pesi liberi, cavi o macchine isotoniche, indicati per variare l’angolo di lavoro o enfatizzare lo stimolo di un distretto piuttosto che un altro): affondi, leg press, hack squat machine, hip-thrust, distensioni in panca inclinata, distensioni in panca declinata, bench press machine/multipower o analoghe, dip, rematore con bilanciere/manubri/T-bar, pulley machine, trazioni alla lat-machine, low-row machine o analoghe, shoulder-press machine o analoghe, tirate al petto;

Attenzione! Non tutti concordano su questa ripartizione. Soprattutto i bodybuilder, tendono a far rientrare tra i fondamentali anche dip, military-press e rematore. Non si tratta di un errore, bensì di un punto di vista. Nel culturismo, l’obbiettivo principale è lo sviluppo muscolare. Nelle discipline di forza invece, l’obbiettivo principale è l’efficacia del “lift”. Come naturale conseguenza, visto che, ad esempio nel powerlifting, i gesti gara sono 3 (squat, stacco, panca), gli esercizi fondamentali saranno gli stessi con la sola aggiunta di alcune tirate (prevalentemente trazioni).

  • Esercizi di isolamento (monoartiolari, con pesi liberi, cavi o macchine isotoniche, indicati per focalizzare il reclutamento di particolari muscoli; sono molto numerosi): leg-extensiuon, leg-curl, adduzioni e abduzioni alla macchina o al cavo per adduttori e abduttori, gluteus-machine o analoghi, calf-machine, addominal-machine, flessioni laterali del busto su panca specifica, iperestensioni lombari, croci con manubri/ai cavi, pectoral-machine, pull-over, pull-down cavo, push-down cavo, french-press bilanciere/manubri/cavo, curl con manubri/bilanciere/cavo, alzate laterali manubri/cavo, alzate frontali manubri/cavo, croci a 90° manubri/cavo ecc ecc.

A cosa servono

Perché gli esercizi fondamentali sono importanti?

Gli esercizi multi-articolari fondamentali coinvolgono diversi distretti muscolari, richiedono una coordinazione e una tecnica di esecuzione molto fini, che dovrà essere scrupolosamente appresa dallo sportivo e verificata poi dall’istruttore.

Lo stacco e lo squat, in particolare,  stimolando  l’effetto metabolico attraverso una grande risposta ormonale,  permettono  la crescita complessiva.

Per contro, non tutti sono – da subito – in grado di svolgere correttamente questi esercizi. Questo perché è indispensabile possedere la giusta mobilità articolare e flessibilità muscolare.

Necessitano sempre di una valutazione iniziale e, spesso, di un periodo iniziale di condizionamento, nel quale curare tutti questi aspetti.

Spesso si commette l’errore di credere che questi esercizi siano adatti ai soggetti avanzati. Non solo non è così, ma è esattamente l’opposto.

Il primo obbiettivo di un neofita è guadagnare il condizionamento essenziale ad erogare forza in questi gesti – che “dovrebbero” essere quelli più “fisiologici”.

Per tali soggetti vi è la necessità di costruire le “fondamenta”, cioè di buttare giù le basi su cui programmare successivamente un allenamento, eventualmente più “dettagliato”.

E’ quindi consigliabile inserire nelle “primissime” schede  tutti gli esercizi fondamentali e, dopo aver raggiunto una struttura fisica “adeguata”, proporre gli esercizi complementari ed infine quelli di isolamento.

Ciò  è valido sia per l’universo femminile quanto per quello maschile e, in tal senso, non può esserci nessuna forma di discriminazione ai fini della metodologia di allenamento.

Sarebbe pertanto improponibile, per una ragazza il cui obbiettivo è quello di rimodellarsi, costruire un programma evitando di inserire, in particolare, squat e stacchi – purtroppo, ancora spesso rimpiazzati da slanci e macchine senza alcuna ragione medica o funzionale.

Gli esercizi fondamentali sono “realmente” fondamentali?

Dipende. Panca, stacco e squat sono imprescindibili per un powerlifter, così come strappo (snatch) e slancio (clean e jerk) lo sono nel weightlifting.

Per un bodybuilder, soprattutto amatoriale, non è la stessa cosa.

Se da un lato sappiamo che questi esercizi hanno un elevato potere anabolico complessivo e unefficacia senza pari nella crescita di forza, dall’altro sappiamo anche che gli stessi possono essere rimpiazzati da movimenti facilitati, frammentati e parzialmente differenti.

E’ quindi possibile crescere muscolarmente anche senza eseguire gli esercizi fondamentali.

Un culturista che non può squattare ma è in grado di eseguire una press alla macchina, può allenarsi tranquillamente. Lo stesso dicasi per lo stacco da terra, che può venore rimpiazzato da un pool di esercizi utili (hip-thrust, leg-curl ecc.), e per la panca piana (bench-press-machine, pectoral-machine, peck-deck, croci con manubri ecc).

 

Squat

Lo squat è un esercizio di “accosciata” con sovraccarico.

Quello tradizionale è con bilanciere appoggiato sulle spalle (back-squat), tra la parte alta delle scapole e i deltoidi posteriori.

Le gambe sono divaricate “poco oltre” la larghezza delle spalle – ma questo dettaglio può cambiare in base alle caratteristiche del soggetto. I piedi sono ruotati all’esterno di circa 30°.

Inspirando e compattando il core, con le scapole addotte e depresse, il rachide ben sostenuto (soprattutto a livello lombare) e il bacino leggermente anteroruotato, si inizia a scendere flettendo le cosce e le gambe.

La discesa, nelle persone con caviglia e coxo-femorale normalmente mobili, termina oltre il parallelo (squat profondo, col il sedere che oltrepassa la linea del ginocchio). Per gli altri, può interrompersi prima.

Fino ad un angolo di 90° viene coinvolto maggiormente il quadricipite; oltre, molto il grande gluteo. Adduttori, abduttori e flessori della gamba hanno un’importante funzione di stabilizzazione.

Dalla “buca” parte poi la spinta, che deve ripercorrere la stessa traiettoria.

Gli errori da non fare sono molti e rimandiamo la lettura all’articolo dedicato.

Deadlift – Stacco da terra

Il deadhlift o stacco da terra consiste nel movimento più efficiente nel sollevare un sovraccarico (bilanciere) posizionato a terra.

Con divaricatura delle gambe variabile (larghezza spalle o più aperta) – a seconda che si vogliano impegnare maggiormente la schiena, i glutei o le cosce – e piedi leggermente ruotati all’esterno (di più se le gambe sono divaricate), si impungna saldamente il bilanciere – laghezza spalle se le gambe sono divaricate, o più aperta se invece sono a larghezza spalle – e ci si prepara al sollevamento.

Il bilanciere sfiora le tibie. Dopo una profonda inspirazione e tenuta di core, si adducono e deprimono le scapole, si abbassa il sedere, si tiene il bacino leggermente antero-ruotato e si garantisce un’elevato sostegno muscolare di tutta la schiena.

Può quindi partire il lift, spingendo centralmente sulla pianta del piene e salendo uniformemente con il bacino e con la schiena.

Rispetto allo squat, recluta maggiormente il grande gluteo e il gran dorsale, meno il quadricipite femorale. Grandi differenze si possono apprezzare in base alla tecnica di sollevamento prediletta e alle caratteristiche anatomo-funzionali.

Anche in questo caso, per maggiori dettaglio è consigliabile leggere l’articolo dedicato.

 

Distensioni in panca piana con bilanciere – barbell bench press

E’ un esercizio di spinta che vede coinvolti soprattutto il gran pettorale, il tricipite brachiale e il deltoide anteriore.

Sdraiati su una panca piana, si impugna il bilanciere con larghezza superiore alle spalle, ma non oltre gli 81 cm.

La distensione inizia dopo aver assunto la corretta postura: scapole addotte e depresse, possibilmente arco dorsale (ma, piuttosto che eseguire una “inutile” curvatura solo lombare, meglio evitaro), core ben stabilizzato da una profonda inspirazione.

Si stacca il bilanciere dai supporti e si inizia la discesa. La traiettoria è verso il basso ma non totalmente verticale. Per sfruttare appieno l’azione del gran pettorale ed evitare criticità articolari per la spalla, l’omero deve rimanere più in basso rispetto alle clavicole (a metà via tra il trorace e il parallelo, per intenderci).

Questo permette che il bilanciere vada anche “in avanti” durante la discesa e la risalita, disegneando una traiettoria simile ad una “parentesi tonda”.

La profondità utile è quella massima, ovvero a “toccare lo sterno basso”.

Trazioni alla sbarra – pull-up

Le trazioni alla sbarra sono esercizi di “tirata”.

Molti si chiederanno per quale ragione esse, che permettono di sviluppare meno forza rispetto ai rematori, vengano considerate più “importanti” di questi ultimi.

La risposta è semplice: le trazioni alla sbarra sono l’esercizio col focus maggiore sul gran dorsale, mentre i rematori coinvolgono di più il gran rotondo.

La posizione di partenza è sotto la sbarra; se siamo in grado di svolgere almeno 12 rep a corpo libero, è ora di inserire un sovraccarico – con schienalino o cintura zavorrata.

L’imputnatura più adeguata per lo stimolo del gran dorsale è quella prona (palmi avanti), con gli indici all’altezza del deltoide.

Le scapole assumono un’importanza cruciale. Devono essere be addotte e ben depresse, in modo da esercitare la miglior leva muscolare possibile. Anche in questo caso, il core va tenuto compatto con una respirazione profonda.

Specifichiamo che la trazione dev’essere percepita più sul dorsale che sulle braccia. per fare ciò, è necessario “immaginare di portare la barra sotto il mento”, non di sollevare il corpo. E’ anche importante lasciare che la schiena si inarchi spontaneamente. Inoltre, anche in questo caso la traiettoria non è verticale, ma curva (in tirata, verso su e verso dietro, poi verso avanti avvicinando la barra al petto; viceversa la discesa).

Rimandiamo le specifiche all’articolo dedicato e ci limitiamo a ricordare che gli errori più comuni sono i cheat eseguiti nei momenti articolari di minor forza o di maggior fatica.

 

I fondamentali sono esercizi migliori degli altri?

In senso stretto, possiamo far rientrare tra i fondamentali: squat e stacco da terra per gli arti inferiori, distensioni su panca piana con bilanciere per il petto, trazioni (o il rematore pesante con bilanciere?) per la schiena.

Si tratta quindi di 4-5 esercizi in tutto. Se però considerando le molte varianti associate (uso dei manubri, impugnature, inclinazioni e impostazione differenti, ecc.) potremmo facilmente arrivare al triplo.

Per il bodybuilder (e per chiunque si alleni a scopo estetico), questo gruppo di esecuzioni presenta una serie di vantaggi e benefici rispetto a tutti gli altri, tra i quali:

  1. maggior predisposizione all’allenamento della forza massimale;
  2. costruzione di schemi motori più complessi e funzionalità;
  3. coinvolgimento di numerosi gruppi muscolari contemporaneamente;
  4. azione sulla stabilità e compattezza del core;
  5. maggior potenziale di affaticamento e conseguente azione anabolica superiore.

Non mancano, però, gli svantaggi e le controindicazioni:

  1. maggior complessità di apprendimento ed esecuzione;
  2. statisticamente parlando, elevata suscettibilità agli infortuni – anche se questo è dovuto soprattutto ad errori commessi dagli atleti, piuttosto che all’esercizio in sé;
  3. inadeguatezza ai protocolli incentrati sul cedimento muscolare e, in genere, alle alte ripetizioni (per molti, opinabile);
  4. se portati ad alti sovraccarichirichiedono un lavoro complementare sulla muscolatura secondariamente coinvolta – addome e stabilizzatori vari;
  5. bassa autonomia, perché inducono rapidamente l’affaticamento centrale e metabolico-muscolare.

Prendendo in considerazione tutto questo, potremmo sostenere che i fondamentali e relative varianti, opportunamente appresi, inseriti nella routine e gestiti nella periodizzazione, siano ottime soluzioni per gli obbiettivi di costruzione della forze e della massa muscolare.

Ma il discorso non finisce qui.

 

Ciò che importa è personalizzare e contestualizzare

Le persone sono tutte diverse tra loro. Nella popolazione generale possiamo dunque osservare differenze anatomiche e antropometriche, e diseguaglianze funzionali, anche di grande importanza.

Per fare degli esempi quasi banali:

  • Nello squat, non tutti mostrano una mobilità di caviglia sufficiente ad affrontare un’accosciata oltre il parallelo;
  • Sempre nello squat, anche la conformazione della coxo-femorale influenza sensibilmente il confort “in buca”;
  • La scelta tra stacco da terra regular e in stile sumo è dato dalla capacità di usare più o meno la schiena (maggiormente coinvolta nel regolare) rispetto alle gambe;
  • La mobilità di spalla e l’integrità dei tendini coinvolti influenzano pesantemente la capacità di adduzione e abduzione, flessione e estensione, intra-rotazione e extra-rotazione. Questo si ripercuote inevitabilmente sulla capacità di eseguire correttamente esercizi come le trazioni, ma anche la panca piana e addirittura il posizionamento del bilanciere sulla schiena nello squat.

Laddove i limiti funzionali possono essere corretti grazie ad opportuna ginnastica di mobilità, rinforzo, flessibilità e riequilibrio muscolo-articolare, i fondamentali prima inadatti possono venire inseriti progressivamente ma con cautela.

Tuttavia, in alcune circostanze – sia innate che acquisite – questo non è assolutamente possibile. Pensiamo a condizioni come la scoliosi, caviglie rigide, ridottissimo spazio sub acromiale con conflitto di spalla e conseguente assottigliamento dei tendini ecc.

In questi casi, i fondamentali dovranno essere sostituiti da altri movimenti meno critici che, paradossalmente, diventeranno essi stessi gli esercizi migliori.

Alcune soluzioni “generiche” – si prenda con le pinze quanto elencato, poiché la scelta deve rispettare la condizione specifica – sono:

  • Per gli arti inferiori: leg press, hip-belt squat, pistol squat, step-up, affondi, bulgarian squat, hack squat ecc.
  • Per il petto: l’uso dei manubri, chest press machine, croci con manubri o ai cavi, pectoral-machine;
  • Per la schiena: cambio di impugnatura e presa nelle trazioni, rematore one-arm manubrio in ginocchio, lat-machine, pulley machine, pull-down machine, vertical traction machine, row machine, low row machine ecc.

In definitiva, è possibile distinguere gli esercizi più adatti, quindi rispettosi della soggettività e dell’obbiettivo, ma non migliori o peggiori in senso assoluto.

Certo, alcuni sport sono incentrati sulla performance di specifiche tipologie di esecuzione; inutile dire che, per tali discipline, la specificità è di primaria importanza.

Se tuttavia parliamo di bodybuilding o di preparazione atletica generale, il discorso cambia radicalmente. Non esistono esercizi realmente insostituibili.

Tirando le somme, gli aspetti più importanti per l’efficacia e la sicurezza dell’allenamento sono:

  1. la personalizzazione del protocollo;
  2. la contestualizzazione degli esercizi, delle tecniche e dei parametri allenanti.

La personalizzazione ha un ruolo cruciale nella programmazione e pianificazione dei cicli allenanti, anche se tale approccio è indirizzato ad un pubblico di sportivi avanzati che potremmo definire “ristretto”.

Questa filosofia può tuttavia essere riportata anche in ambito amatoriale o con obiettivi, per così dire, non elevati come quelli di un atleta sotto il profilo prestativo o venatorio. Ciò che conta però, è che la forma dei protocolli sia “adatta”.

Attenzione però, non significa che obiettivi apparentemente più “banali”, come la ricerca di un maggior benessere globale, siano più facili da raggiungere; acciacchi articolari, sovrappeso e dismetabolismi, in particolare quando coesistenti, rendono la costruzione del protocollo allenante “praticabile” e di successo tutt’altro che scontata.

Troppo spesso però, si propongono esercizi inadeguati o diete impraticabili a persone che non sono in grado – per ragioni fisiche o psicologiche – di portarli a termine, contribuendo al fallimento e alla cronicizzazione del problema.

Alcuni esempi pratici

Nulla più di un esempio ben fatto potrebbe far passare questo concetto. Prendiamo in considerazione lo squat nel contesto allenante di un soggetto sedentario di mezza età.

Quando lo squat è una buona scelta e quando invece no

Lo squat libero (con bilanciere e non al multipower) è per molti il “re degli esercizi”, e certamente l’esecuzione principe per gli arti inferiori e per i glutei; vengono poi coinvolti massicciamente anche la schiena (bassa e profonda) e il core.

D’altro canto, il movimento dello squat richiede caratteristiche fisiche di un certo tipo, come buona mobilità delle caviglie, un bacino libero di ruotare, flessori ed estensori ben flessibili, una schiena dotata di tutte le sue curve fisiologiche e priva di dismorfismi gravi ecc.

Non è detto, sia per ragioni anatomo-funzionali innate, sia per una disfunzionalità acquisita, che il soggetto sedentario di mezza età riesca ad eseguirlo in maniera corretta fin da subito.

A questo punto abbiamo due strade:

  • la prima è, dopo avere eseguito i relativi test funzionali, correggere – dove possibile, ovviamente – il difetto in questione con protocolli di flessibilità, mobilità e potenziamento selettivo; approcciandosi solo in un secondo momento allo squat, magari limitando il ROM (Range of Motion) nel punto critico;
  • la seconda è, nel caso le problematiche non siano risolvibili, di sostituire lo squat con altre esecuzioni che possono comunque sviluppare la forza degli arti inferiori.

Non avrebbe mai senso, quindi, insistere fin da subito sull’esecuzione dello squat essenziale con carichi affaticanti. Il rischio sarebbe ovviamente di aggravare la condizione di salute anziché di migliorarla.

Valutare la flessibilità dei pettorali

Di seguito presentiamo un esempio pratico di come, dopo un test di flessibilità per i muscoli pettorali (grande e piccolo), si debba organizzare un piano di allenamento per il torace prevedendo esercizi che rispettino la meccanica soggettiva.

Il soggetto, dopo essersi sdraiato su una panca orizzontale, deve aprire le braccia (a croce, per intenderci) e lasciare che cadano naturalmente; in condizioni di ottima flessibilità dei muscoli del torace, gli arti superiori dovrebbero andare oltre la linea del corpo, consentendo all’omero di effettuare la massima escursione nell’abduzione sul piano trasversale.

Bisognerà controllare inoltre la flessibilità della spalla sul piano sagittale e frontale, quindi occorreranno altri test.

Ritornando ai pettorali, abbiamo visto che in questo caso il soggetto può eseguire senza problemi esercizi come le distensioni e le croci ecc.

Se invece il soggetto non ha un’elasticità tale da permettere un ROM soddisfacente (come invece nel caso sopra), saranno da evitare o limitare quegli esercizi che portano l’omero troppo indietro rispetto al torace.

Sarebbe opportuno praticare delle croci ai cavi, con ROM limitato, evitando un eventuale compenso a livello vertebrale ed eccessiva compressione intra-scapolare.

Non è assolutamente una buona idea far praticare un esercizio come le distensioni con i manubri, che danno un elevato stiramento ai muscoli in questione, ma piuttosto con il bilanciere, usando dei fermi al rack o uno spessore sul torace come riferimento per lo stop anticipato.

In ogni caso, parallelamente l’obiettivo sarà quello di aumentare la flessibilità dei muscoli pettorali nonché l’intera catena della spalla e del braccio.

Una scarsa flessibilità muscolare compromette la corretta esecuzione di un movimento ad ampia escursione di abduzione dell’omero sul piano traverso e genera notevoli compensi.

In questo caso, prima di intraprendere esercizi di muscolazione per il torace è buona regola dedicare gran parte dell’allenamento al recupero della mobilità articolare della spalla che, se non recuperata almeno in percentuale, può portare scompensi anche a livello dell’articolazione o compromettere l’integrità di altre strutture connesse.

Impostando un programma di allenamento per questo distretto muscolare si deve limitare quasi in ogni esercizio l’escursione di movimento.

Un esercizio che può essere svolto senza pericolo ne compensi a livello dorsale infra-scapolare sono le croci ai cavi, nelle quali i muscoli non vengono eccessivamente stirati e rispettano la biomeccanica del soggetto in questione.

Le trazioni verticali sono un problema per molti

Non tutti possono eseguire pull-up e pull-down con la stessa facilità, a prescindere dalla forza muscolare. Questo perché entrano in gioco il range of movement (ROM) ed eventuali condizioni disagevoli o patologiche delle articolazioni e dei tendini, soprattutto della spalla – ma non solo, spesso sono coinvolti il gomito e i polsi.

Per capire se un soggetto può eseguire la lat machine, devo testare la flessibilità e la possibilità di movimento articolare di quella persona. In definitiva devo valutare il suo ROM specifico.

I test di flessibilità risultano ancora una volta la chiave di lettura per la programmazione di un allenamento proficuo e in sicurezza, o per minimizzare i rischi derivati dagli esercizi.

Se il soggetto in questione non mostra evidenti problemi di scarsa flessibilità a livello della spalla, riuscendo tranquillamente a portare le braccia in estensione senza compensi, potrà praticare in tranquillità la lat machine, considerando solo il tipo di allenamento che si intende praticare con riferimento agli obiettivi di crescita, forza o altre capacità condizionanti.

La rigidità dell’articolazione della spalla è quindi il fermo principale alla pratica in tutta libertà della lat machine.

Le cause di tale rigidità articolare possono essere davvero tante. Una non adeguata flessibilità dei muscoli gran dorsali o romboidi o trapezio, o addirittura di tutti i muscoli che intervengono nel movimento in questione, può compromettere la completa flessione dell’omero sul piano sia frontale che sagittale.

Ciò significa che se il muscolo non è adeguatamente elastico i movimenti di elevazione laterale del braccio fin sopra la testa o dal davanti del copro (adduzione-abduzione sul piano frontale e sagittale), risulteranno limitati o comunque non liberi del tutto.

Questo comporterà che, a causa del carico usato nell’esercizio, le braccia saranno comunque trazionate in alto, nella fase eccentrica del movimento ma per opera del compenso della curva lombare che creerà una iperlordosi di adattamento per permettere l’escursione alla spalla; da precisare che si tratta di una “escursione fasulla” in quanto senza quel compenso a carico della bassa schiena quel movimento non sarebbe mai stato possibile se non limitandolo fino ad un certo punto laddove il grande dorsale avrebbe permesso l’elevazione del braccio.

In quest’ultimo caso, l’ausilio di un fermo che limiti il ROM risulta fondamentale per non gravare sulle vertebre lombari che, atteggiandosi in iperlordosi, soprattutto in condizioni di conclamata precarietà, potrebbero dare origine a dolore.

 

Conclusioni

Negli esempi sopra menzionati abbiamo fatto cenno ai soli pettorali, ma ricordiamoci che un discorso sovrapponibile andrebbe fatto anche per la schiena, le spalle, gli ischiocrurali, i quadricipiti, i flessori dell’anca, la flessibilità del braccio, della cuffia dei rotatori, dell’anca ecc.

Non esiste, a conti fatti, un esercizio migliore di un altro in termini assoluti; ma semplicemente quello più adatto.

Come abbiamo visto negli esempi dello squat e delle distensioni con i manubri infatti, se alle persone con scarsa mobilità o elasticità avessero fatto eseguire gli esercizi senza alcun criterio cautelativo, probabilmente i soggetti sarebbero andati incontro ad infortuni di vario genere.

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